Colori, diavoli, inferni e libri neri
un magazine online di cultura visiva — dal 2006
Questa settimana, su Frizzifrizzi abbiamo scoperto che:
· la scrittrice britannica Zadie Smith consiglia a potenziali autrici e autori «una dieta bilanciata: se stai scrivendo frasi troppo cariche, troppo barocche, evita i grassi alla David Foster Wallace, per dire, e datti a Kafka, come fosse crusca. Se la tua estetica è diventata talmente raffinata da impedirti di mettere anche un solo segno nero sulla carta bianca, smettila di preoccuparti di cosa direbbe Nabokov e apri Dostoevskij»;
· le forme del diavolo sono molteplici: è «un blocco di creta che nel tempo è stato modellato dalle situazioni, influenzato sia dallo sviluppo delle concezioni umane, sia proprio dai contesti in cui è stato direttamente posto da terzi che, riconoscendo nella sua poliedricità e spirito camaleontico qualità perfette per veicolare un messaggio, l’hanno sfruttato per precisi scopi comunicativi politici, pubblicitari o d’intrattenimento» spiega Mara Guerra, che all'aspetto del demonio ha dedicato una tesi di laurea;
· per i norreni il Niflheimr è un inferno buio e freddo in cui i dannati gridano di dolore per l'eternità;
· nell'editoria per l'infanzia il nero, per le copertine, è un colore quasi tabù;
· nella Cina comunista non ci si faceva massaggiare i piedi perché era considerato “borghese”.
Delle palette
Quando era ancora al college la designer e artista Edith Young ha iniziato a creare palette cromatiche di elementi e temi della storia dell'arte: cappelli rossi rinascimentali, gli abiti delle infante di Velazquez, le pupille degli occhi nei ritratti di Vermeer... Poi è passata alla cultura pop: i capelli tinti di Rodman, i costumi di Tonya Harding... — Oggi ha raccolto quelle composizioni in un libro: Color Scheme.
Dei colori
Gli esperimenti cromatici di Daniel Eatock
Sono in esposizione a Bologna, presso l'artbookshop CorrainiMAMbo nella mostra Super Spectrum, che presenta “letti” di pennarelli a testa in su, carte che affogano tra l’inchiostro dei pennini, costellazioni cromatiche che cambiano in base al tempo di contatto tra colore e foglio.
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Degli albi neri
Il nero è una sorta di tabù nel campo dell'editoria per l'infanzia, soprattutto per le copertine. Ecco quindi alcuni tra i più begli albi illustrati neri.
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Una collezione
I coniugi Adler lasciarono la Germania nel 1930 per andare a lavorare in Unione Sovietica come architetti e designer. Lì misero insieme una collezione di quasi 300 albi illustrati per l'infanzia russi e ucraini. Quel “tesoro” è stato riscoperto dalla figlia solo molti anni dopo, e oggi è conservato presso la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. — Un poderoso volume pubblicato da Corraini mostra la raccolta di libri, raccontandone la storia, il contesto politico e artistico e molto altro.
Un guardare indietro
La Milano che non c'è più
La nostra Giovanna Canzi ha intervistato Alberto Saibene, autore di Milano fine Novecento, che racconta la città e la sua grande vivacità culturale dal dopoguerra agli anni '80.
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Una vita cinese
In una trilogia a fumetti l'appassionante ritratto storico della Cina degli ultimi sessant'anni, tra Rivoluzione Culturale, Deng Xiaoping, il massacro di Tienanmen e il nuovo millennio.
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Un omaggio
L'anno scorso si è celebrato il bicentenario dalla nascita del grande Dostoevskij. Per l'occasione il centro culturale Casa de Rusia di Barcellona ha chiesto all'artista italiana Valeria Brancaforte di realizzare una serie di linoleografie ispirate a Delitto e castigo. — Brancaforte racconta in un video il lungo lavoro di ricerca iconografica e tipografica del suo The Dostoevsky Project.
Un inferno
Andare all'inferno con Heller e Chwast
Una guida illustrata agli inferi, firmata da due maestri della grafica e dell'illustrazione come Seymour Chwast e Steven Heller, che portano lettori e lettrici alla scoperta dei tanti inferni che le culture, le religioni e l’arte hanno partorito nel corso dei millenni.
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Una tesi sulla figura del diavolo
L'ha realizzata la giovane designer Mara Guerra ed è frutto di un lunghissimo lavoro sull'iconografia nella storia dell'arte e della comunicazione.
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Come ogni lunedì
È una rubrica a cura della giovane illustratrice e tatuatrice Alessandra Bruni, che ogni settimana illustra una notizia della settimana precedente.
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E inoltre
L'agenzia di comunicazione Boutique Creativa ha prodotto un calendario 2022 “da giocare”.
È PIENO DI ATTIVITÀ ISPIRATE ALLO SMARTWORKING →
Cinque albi illustrati sull'amicizia, consigliati da Davide Calì.
TRA AMICI CON CUI ESPLORARE, AMICI COMPLICATI, AMICI-RIVALI, AMICI CHE SI AIUTANO →
La nuova collezione di stampe illustrate (a prezzi accessibili) di RoomFifty.
FIRMATE DA AUTRICI E AUTORI TRA I PIÙ INTERESSANTI A LIVELLO INTERNAZIONALE →
I meravigliosi poster del Montreux Jazz Festival 🎷
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Un sito che ti porta in un momento casuale del leggendario show radiofonico di John Peel 📻
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Il nuovo video di Donato Sansone per i C'mon Tigre è una magia di montaggio e composizione ✂️
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Un giochino-droga 🔘
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Scala cromatica 🥚🥚🥚
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Mappe di radici 🌳
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Per chi gioca a Wordle (la versione originale inglese) 🤬
UN “TROVA-SOLUZIONI” →
Stiamo vivendo nel Wasteocene? 🗑
STEFANO DALLA CASA, SU IL TASCABILE, PARLA DEL NUOVO SAGGIO L’ERA DEGLI SCARTI DI MARCO ARMIERO →
Bonus All’Inferno il tempo non comincia finché non ti alzi dal tavolo del giardino di Jonathan Lethem*
All’Inferno sono un bambino.
Più piccolo di Peter. Otto o nove anni, direi.
Comincio sempre nello stesso posto. L’inizio è sempre uguale. Sono seduto a quella tavola, in quel maledetto giardino, ad aspettare la strega.
Lasciate che sia più preciso. All’inizio sono un particolare in un quadro vivente: noi quattro bambini siamo seduti in semicerchio intorno a un tavolo da giardino di ferro battuto nero. Le sedie di ferro fanno pendant con il tavolo. Il prato sotto i nostri piedi è stato falciato da poco: il giardiniere, sempre che ce ne sia uno, lascia crescere i soffioni ma estirpa la sanguinella. All’estremità del prato c’è una striscia di stentati cespugli di rose. Subito oltre, una foresta.
Dietro di me, quando mi volto a guardare, ci sono un paio di goffi alberelli di betulla. Dietro di quelli, la casa della strega. Dal comignolo di ardesia escono volute di fumo. In teoria, la strega ci sta preparando la colazione.
E noi dobbiamo aspettare. In silenzio.
Il tempo passa un po’ lentamente, all’entrata dell’Inferno. Aspetto là insieme agli altri bambini, bisticciando, giocando con l’argenteria, arrotolando stretto stretto il centrino di pizzo che ho sotto il piatto; sembra che passino anni interi. La colazione non ce la servono mai. Mai. Il sole, che è fermo appena sopra la cima degli alberi, non tramonta mai. Il tempo è immobile, in quel posto. Il che non significa che ce ne stiamo seduti impietriti come statue. Tutt’altro. Siamo un gruppetto di bambini affamati, e facciamo casino in tutti i modi.
Ma sto tralasciando qualcosa.
Se siamo seduti in semicerchio, è per fare spazio al cavallo della strega. Il cavallo della strega occupa un quarto del tavolo. È seduto davanti a un posto apparecchiato come se fosse un ospite qualsiasi.
E anche lui aspetta la colazione.
Il cavallo della strega fa schifo. Le vene sotto gli occhi gli tremano e si agita nervosamente sulla sedia. Ha le zampe anteriori incatenate a dei paletti per impedire che lasci la tavola. È seduto sulla coda, perciò non può usarla per scacciare le mosche che gli si raccolgono per bere agli angoli della bocca. Il cavallo della strega porta sul muso un paio di occhiali di ferro battuto arrugginito. Sono solo per bellezza, credo, ma non sono della misura giusta. Gli scavano un paio di solchi rosa scorticati ai lati del muso.
Se resto a tavola e aspetto la colazione, in effetti certi piccoli cambiamenti avvengono. Il più delle volte gli altri bambini si spazientiscono e cominciano a litigare o a giocare, il tavolo viene sballottato, l’argenteria sbatacchiata rumorosamente e il cavallo sbuffa per la paura, dagli occhi gialli gli colano lacrime. A volte un serpente o una volpe strisciano attraverso il giardino e spaventano il cavallo, lui scuote le catene e i bambini bisbigliano e ridacchiano. Una volta un uccello è passato sopra di noi e ha sparato uno schizzo di merda d’uccello biancastra e viscida sulla teiera. È stata una gradita distrazione, come qualunque altra.
Ogni tanto i bambini decidono che il cavallo gli fa pena, e mettono su tutta una campagna per convincerlo a farsi avanti col muso e potergli levare gli occhiali e tamponare le ferite con un centrino appallottolato. Una volta ho provato ad aiutarli, quando ero ancora nuovo all’Inferno. Anche a me faceva pena il cavallo. Questo prima di vedere lui e la strega cavalcare insieme nella foresta. Dopo averli visti cavalcare ho capito che il cavallo e la strega erano complici.
Vederli cavalcare fra ululati e nitriti in mezzo agli alberi è una delle peggiori esperienze di tutto l’Inferno. Dopo la prima volta il cavallo non mi ha più fatto pena neanche un po’.
Qualunque sia la causa, i disordini al tavolo del giardino si concludono sempre allo stesso modo. L’attività raggiunge un certo apice, il tavolo sembra essere lì lì per ribaltarsi, quando all’improvviso dalla porta di casa della strega arriva un rumore. Noi restiamo tutti impietriti ai nostri posti, tratteniamo il respiro. Anche il cavallo sa restare seduto immobile, e a quel punto l’unico suono che si sente è il ronzio delle mosche.
Stiamo tutti attenti a cogliere qualche movimento alla porta della strega. Nella flebile speranza che forse, almeno questa volta, sia ora di colazione. La porta si apre, solo uno spiraglio, appena appena, e la strega scivola fuori. Sorride. È bellissima, la strega. Anzi, la donna più bella che abbia mai visto. Ha un sorriso splendido. La strega comincia ad attraversare il prato e si ferma a metà strada fra la porta e il tavolo. Ormai siamo tutti tornati a piazzarci obbedienti su quelle sedie troppo grandi per noi. A essere onesti, ho il cuore in gola.
Sono innamorato.
«La colazione è quasi pronta», cinguetta la strega. «State seduti zitti e buoni, non date fastidio al Cavallo, e in men che non si dica vi porterò in tavola una cosetta deliziosa...»
E poi si volta e si infila di nuovo dietro la porta e tutto ricomincia da capo.
È così che inizia l’Inferno. Forse se avessi un po’ più di pazienza – se aspettassi, diciamo, mille anni invece che solo un secolo la colazione arriverebbe. Ma d’altra parte, conoscendo l’Inferno, non sono sicuro di aver voglia di vedere quello che la strega è stata a cucinare per tutto questo tempo.
Ormai, però, non aspetto più neanche un minuto. Subito mi alzo e mi allontano dal tavolo.
All’Inferno il tempo non comincia finché non ti alzi dal tavolo del giardino.
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* Estratto dal racconto L'uomo felice, dalla raccolta L'inferno comincia nel giardino, di Jonathan Lethem, Minimum Fax, 2014 (trad. di Martina Testa).
Lethem (1964) è un autore statunitense, considerato tra i migliori della sua generazione. Ha scritto saggi, racconti e romanzi, oltre a fumetti e canzoni. È uno dei più grandi conoscitori dell'opera di Philip K. Dick.