Portici, memory, sogni infranti e arte giapponese
un magazine online di cultura visiva — dal 2006
Questa settimana, su Frizzifrizzi abbiamo scoperto che:
— «era quasi impossibile fare qualcosa durante i primi giorni di guerra. Non puoi prepararti completamente per questo tipo di situazione. Mi ci sono volute circa due settimane per rimettermi in sesto e ricominciare a disegnare. Ma poi disegnare è diventata una sorta di terapia per me» racconta l'illustratrice ucraina Tania Yakunova, che vive a Kyiv e ha continuato a lavorare, tra sirene antiaerei e distruzione;
— sono detti Dreamers bambini e ragazzi arrivati negli USA senza autorizzazione prima dei 16 anni. Non hanno un numero di previdenza sociale e non sono cittadini a tutti gli effetti. Il nome Dreamer viene da un disegno di legge bipartisan — il Development, Relief, and Education for Alien Minors Act (l’acronimo è DREAM) proposto ripetutamente fin dal 2001 ma finora mai approvato;
— «vorrei rimanere così come sono stato finora, perché mi sono detto che devo essere come una piccola nuvola. Se sognassi di diventare una nuvola grande, dovrei cominciare a fare altre cose che però non voglio fare o che non mi interessano. Ma rimanendo una nuvola piccola, mi posso concentrare su ciò che voglio veramente e che mi interessa fare» sostiene il grande designer e artista Katsumi Komagata, considerato l'erede di Munari;
— a consigliare Augustus Welby Northmore Pugin — che all'epoca si era dato al commercio marittimo — a dedicarsi a tempo pieno all'architettura fu l'architetto di Edimburgo James Gillespie Graham, che conobbe Pugin dopo che questi naufragò sulle coste scozzesi. Pugin ascoltò il suggerimento e finì poi per disegnare il Big Ben di Londra;
— il gioco Memory è un marchio registrato di Ravensburger ma esisteva già molto tempo prima e si giocava con le normali carte da briscola o da ramino.
Delle prospettive
«Si arriva alla conclusione che anche la cultura, le arti, la socialità sono bisogni primari delle persone, senza i quali la condizione di emarginazione e di non capacitazione nell’affrontare una vita in autonomia diventa strutturale e conduce a un isolamento che aumenta esponenzialmente i rischi di diventare persone senza dimora, in caso di problemi economici».
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L'associazione culturale bolognese Hamelin e Piazza Grande — cooperativa sociale che da vent’anni si occupa di emarginazione e sostiene le persone in difficoltà — hanno collaborato a un progetto cui hanno partecipato fumettiste, fumettisti e persone senza fissa dimora, provando a guardare i portici di Bologna da altre prospettive. I risultati sono in un libro e una mostra: A propria misura.
Uno struggersi
A Cremona la mostra personale dell'artista ucraina Tania Yakunova
Si intitola EXO, che significa “eco” e riporta gli echi dal suo passato — quelli del suo percorso artistico fino a prima dell'invasione russa — e gli echi delle esplosioni e della guerra, che tanto hanno condizionato i suoi nuovi lavori.
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Le speranze e i sogni (spesso infranti) di quattro giovani persone immigrate negli USA
Sono storie raccontate dalle vere voci delle tre protagoniste e del protagonista, in un corto d'animazione firmato dalle sorelle Constanza e Doménica Castro, pluripremiate filmmaker messicane.
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Della carta
Quasi vent'anni fa, il grande artista e designer giapponese Katsumi Komagata realizzò — come prototipi per una mostra — dei ritratti di animali sovrapponendo carte intagliate a mano di diversi colori. Di recente è ritornato sul progetto, ha definito un metodo e ha creato la serie Pop Scope.
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Si tratta di 40 opere, in mostra presso lo spazio culturale Mutty di Castiglione delle Stiviere (Mn).
Un giocare a...
Un memory sulle differenze
Il designer Luca Boscardin ha ideato un gioco in cui — a differenza del classico memory — le immagini da accoppiare non sono identiche ma puntano sulla diversità: pelle di colore diverso, capelli lisci o ricci, occhiali, apparecchio ai denti...
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Costruire le lettere coi timbri
Il designer britannico Will Mower progetta e produce dei set per disegnare lettere e forme geometriche, e imparare — giocando — tipografia e processi di stampa.
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Un tesoro d'archivio
Augustus Welby Northmore Pugin fu uno dei massimi esperti di neo-gotico nella Londra dell’800. Architetto, arredatore e scrittore, progettò gli arredi del castello di Windsor, disegnò il Big Ben e pubblicò un buon numero di trattati e pamphlet polemici.
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Tra le sue opere c'è anche Floriated ornament: a series of thirty-one designs, un volume che raccoglie 31 splendide tavole di decorazioni ispirate alla natura e all’arte medievale.
Dei libri gratis
7 volumi da scaricare su arte e calligrafia
Qualche anno fa il MET Museum di New York ha messo online più di 1000 libri d'arte, compresi cataloghi ormai fuori stampa. Si possono scaricare gratis e ci sono pure dei bei volumi su arte e calligrafia giapponese.
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È la domanda che ci siamo fatti dagli albori dell’automazione e in seguito della robotica: che ne sarà di noi, se una macchina farà il lavoro al posto nostro?
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E inoltre
📄 Il Dipartimento di Stato degli USA pare stia abbandonando il Times New Roman per le comunicazioni ufficiali, sostituendolo con il Calibri.
La circolare citava Bob Dylan e titolava The Times (New Roman) are a-Changin ☞
💇🏻 Il poeta romantico Leigh Hunt collezionava ciocche di capelli di autori, autrici e uomini di stato.
Ne aveva di Napoleone, John Milton, Jonathan Swift, Mary Shelley, John Keats, George Washington... ☞
🦠 Creature meravigliose che stanno dentro a gocce d'acqua di mare.
Il SeaDrops project ☞
📷 Un'affascinante e minimalista serie di foto d'architettura di Tom Leighton.
Oscillate ☞
🍇 Le vigne delle Langhe viste dall'alto.
Vineart ☞
😰 «Sono sempre più numerose le storie di persone che soffrono di eco ansia, ovvero l’angoscia che nasce dal constatare che il mondo sta andando inesorabilmente a rotoli».
Un pezzo di Claudia Bellante su Il Tascabile ☞
🧑🏽💻 Un'altra ansia, quella “da algoritmo”.
Un estratto del saggio Dentro l'algoritmo. Le formule che regolano il nostro tempo, di Donata Columbro, su L'Indiscreto ☞
💬 Chattare con personaggi famosi reali o inventati, del passato o del presente, grazie all'Intelligenza Artificiale.
Character.ai ☞
🧲 Divertirsi coi magneti.
Magnetic Games, un canale YouTube ☞
Bonus
Haiku e suspence * di Ettore Sottsass
Quando ero nell’ospedale, un uomo maturo, malato, morente, la Nanda mi portava Haiku da leggere. Appoggiava vicino al letto dei libricini sottili, con le sue mani fresche, mi sorrideva come sa fare soltanto lei e diceva: «Sono poesie giapponesi».
Ma io non sapevo niente del Giappone – o poco: soltanto cartoline, forse il libro di Bischof, certamente i kamikaze e il Sol Levante bandiera di guerra, per forza, e un po’ le stampe giapponesi, gli Ukiyo-e, «che avevano influenzato l’arte occidentale sul finire del secolo...». Così dicevano i libri quando ero adolescente, quando andavo a cercare chissà che cosa, forse me stesso, tra sbiaditi disegni viennesi, bianco e nero inchiostro di china Bauhaus, cemento e calce Le Corbusier e grafie e calligrafie del mio maestro pomeridiano Spazzapan che parlava, parlava, parlava: parlava di Hokusai, di Moronobu, di Harunobu, di Utamaro... parlava mentre fumava centomila mezze sigarette che rompeva con le unghie a punta, marroni di nicotina.
Quei discorsi sulla grafia e sulla calligrafia e i discorsi sui colori distesi come fogli di seta e i discorsi sulle geometrie non euclidee e i discorsi sulle linee e quelli sugli spazi tra un colore e l’altro e tutti quei discorsi finirono (come può succedere) per farmi comperare tre o quattro ritratti di attori del No, tre o quattro Okubi-e, le «grandi teste», quelle fatte da Sharaku che ne disegnò centoquaranta in dieci mesi e poi, come dice il catalogo dell’Albertina, «sparì nel buio da dove era venuto»; e i ritratti io li avevo trovati per pochi soldi da un amico che non sapeva che cosa farsene di quelle facce bianche spaventate contorte con gli occhi strabici, abbandonate in un cassetto da qualche nonno ambasciatore o forse soltanto console: ma anch’io non sapevo bene perché comperavo quelle stampe dato che non ho mai comperato «opere d’arte».
Deve essere stato per una specie di rito – allora – perché ero sulla strada di voler «consumare» qualche cosa che mi pareva ci fosse da consumare di un Giappone non ben definito ma in qualche modo già mitico. Forse per me – allora – si trattava di consumare, per esempio, la sua arte, o forse anche soltanto qualche pezzo speciale della sua arte; e mi scuso se parlo di arte come se fosse un formaggio prezioso, ma a quei tempi si parlava molto di arte, si parlava sempre di arte come se fosse un formaggio prezioso, si parlava sempre di arte come di una faccenda molto elevata, molto lontana, molto magica, segreta e rara e naturalmente oggi sarebbe diverso; l’arte si è tirata un po’ giù, qui, un po’ più vicino e oggi si parlerebbe di società, di costume, di comportamento, di azioni, di partecipazione, di verifiche e di cose del genere. Ma allora si parlava così tanto di «arte» che per la verità erano in pochi a mettere nel catalogo dell’arte i ritratti di attori del No fatti da Sharaku o anche una qualsiasi stampa giapponese – voglio dire quella delle stampe – non fosse un formaggio abbastanza prezioso: «È arte popolare» dicevano, con un po’ di disprezzo. «Non è vera espressione del fervore nazionale, che è poi quello della grande arte». Dicevano queste cose e poi dicevano: «Non c’è la prospettiva». «Non c’è la profondità» dicevano. «Non c’è il chiaroscuro» e tutte queste cose che si dicevano allora, neanche poi tanti anni fa, e io me lo ricordo molto bene. Si diceva che «sì», l’arte giapponese magari era anche arte, ma insomma, tutto sommato, comunque, non raggiungeva le «vette» dell’arte occidentale e cose di questo genere. E così, adesso che ci penso meglio, se da ragazzo sentivo la voglia di consumare qualche cosa di un giapponese che avevo mitizzato, qualche cosa anche soltanto della sua arte, se avevo voglia di ascoltare Spazzapan e se ascoltavo anche impulsi inspiegabili che mi venivano chissà come da una sotterranea geografia dei corsi delle culture tedesca o centro-europea o francese o anglosassone che avevano già consumato per conto loro Giappone a non finire (allora non lo sapevo), credo che fosse perché cominciavo a presentire che non era il caso di parlare di vette, che non me ne importava niente, né delle vette né dell’arte come formaggio prezioso: cominciavo a presentire che il tempo nuovo avrebbe cercato qualche cos’altro; forse avrebbe preso per arte quel continuo, permanente, melanconico e fragile darsi da fare per spiegarsi, con qualunque mezzo, anche soltanto con i segni di un pennello intriso di inchiostro grigio pallido, o anche con i segni di una matita sfuggente, o anche con quelli di una biro, che cos’è questa vita e che cos’è questo mondo, per cercare di sopravvivere, per cercare di parlare con gli altri e poi per cercare di sopravvivere insieme agli altri e niente di più.
* Estratto dall'omonimo capitolo di Molto difficile da dire, di Ettore Sottsass, a cura di Matteo Codignola, Adelphi, 2019.
Sottsass (1917 - 2007) è stato uno dei più grandi architetti e designer italiani. Ha progettato oggetti, mobili, case e villaggi. Ha fondato il gruppo Memphis e la rivista Terrazzo. Ha disegnato il primo elaboratore elettronico italiano e vinto quattro volte il prestigioso Compasso d'Oro.