Palette, gentilezza e Mondrian al contrario
Questa settimana, su Frizzifrizzi abbiamo scoperto che:
la Dichiarazione della Gentilezza, firmata in Giappone nel 1997, inizia così: «Riconoscendo l’importanza fondamentale della semplice gentilezza umana come condizione di base per una vita soddisfacente e significativa, dichiariamo l’istituzione del Movimento Mondiale della Gentilezza»;
è meglio accertarsi quale sia il verso di un quadro astratto, prima di appenderlo;
l'etichetta del formaggio Camoscio d'Oro utilizza lo stesso carattere tipografico di un sexshop di Vienna (e di molte altre cose).
P.S.
Causa ponte, questa settimana sono usciti pochi articoli, quindi questa sarà una newsletter breve.
Della grafica
La riscoperta di un carattere tipografico
È il Forte, disegnato negli anni '50 dall'austriaco Karl Reißberger. Il designer Tom Koch, insieme alla figlia di Reißberger, ha svolto una lunga indagine, culminata con una mostra e un libro, pubblicato da Slanted.
Il potere della gentilezza
Lo celebra Fight for Kindness, iniziativa lanciata dalla fonderia digitale fiorentina Zetafonts e dal suo progetto TypeCampus.
Oltre 100 designer di tutto il mondo hanno creato manifesti, in mostra — online e non — in occasione della Giornata mondiale della gentilezza, il 13 novembre.
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10 palette
La casa editrice Victionary, di base a Hong Kong, ha completato la sua fortunata collana che raccoglie progetti grafici (e non solo) in volumi dedicati a specifiche palette cromatiche.
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Come ogni lunedì
New York City I è un quadro di Piet Mondrian del 1941. Esposto al MoMa nel 1945, gira vari musei fino ad arrivare, nel 1980, a Düsseldorf, in Germania, dove si trova attualmente. È stata la storica dell’arte Susanne Meyer-Büser ad accorgersi che il quadro, per 77 anni, è stato appeso al contrario.
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E inoltre
❉ L'architetto Michael Wyetzner racconta, dal punto di vista architettonico, le case di 5 film di paura 🏚️
Psycho, Beetlejuice, House on Haunted Hill, Shining e Get Out ☞
❉ Con l'avvento della stampa, migliaia di manoscritti medievali furono distrutti per diventare segnalibri, carta igienica, rinforzi per abiti e supporti per la rilegatura dei libri stampati 🧻
Grazie alla scansione MA-XRF è possibile leggere frammenti di quei manoscritti sui volumi più moderni, senza distruggerli ☞
❉ Il rebranding del Regno del Bhutan 🇧🇹
Opera dello studio internazionale MMBP & Associates ☞
❉ Preda Rossa: un Canada in miniatura in Val Masino, provincia di Sondrio 🌲
Una serie fotografica di Tania De Pascalis e Tiago Marques ☞
❉ A 101 anni Iris Apfel continua a creare 👵🏻
Ha appena lanciato una collezione di tappeti con il marchio Ruggable ☞
❉ Sapresti riconoscere un cane vero da altri creati dall'Intelligenza Artificiale? 🐩
thisdogexists.com ☞
❉ «I rave party, come molte celebrazioni a sfondo carnevalesco in cui si sfogano gli istinti più onirici e triviali del corpo sociale, sono costantemente sorvegliati dai sistemi di potere, i quali alternano, contro lo “sballo”, repressioni severe e campagne di sensibilizzazione. Eppure anche la società industriale ha bisogno di riti “tecnomagici”» 😵💫
Vincenzo Susca, su L'Indiscreto, scrive dell'irriducibilità culturale dei rave ☞
❉ «C’è la gratuità a non andare giù a molti: viviamo del resto in una società in cui si tende alla progressiva riduzione degli spazi pubblici, tutto deve essere a pagamento. Poi c’è la messa in discussione degli spazi e dei tempi del divertimento: in una società che tende a normare anche le modalità d’uso del tempo libero, il rave, che spunta in luoghi imprevisti e dura giorni, irride tutto questo. Poi c’è la “irriducibilità alla norma” del rito dionisiaco, qualcosa che va avanti dai tempi delle Baccanti: in una festa selvaggia si liberano istinti e modalità di auto-espressione naturalmente sgradite ai moralisti» 💊
Ancora sui rave: un'intervista a Vanni Santoni su Rivista Studio ☞
❉ The people vs. rubber bullets 🔫
Un sito sulla violenza delle forze dell'ordine con le armi “non letali” ☞
Bonus
Colore reale e colore designato1
di Michel Pastoureau
La mia amica Perrine, mia complice da più di mezzo secolo, mi ha inviato stamani una fotografia fatta l’estate scorsa in Bretagna, dove in una bella pineta, con il mare sullo sfondo, si vede un grande contenitore per i rifiuti un po’ insolito che ci fa riflettere sul colore degli oggetti e il modo di determinarne i nomi. Il contenitore è verde, di quel verde indefinibile che da molti decenni veste le nostre spazzature, ma davanti, a lettere gigantesche, c’è una scritta che dice: ‘CONTENITORE GIALLO’. In questo caso la differenza fra il colore reale e il nome del colore è clamorosa e divertente. Perché una differenza simile, esibita in un modo così rozzo e ingenuo?
Probabilmente perché le parole che indicano i colori non sono altro che etichette, non hanno come funzione principale il descrivere, ma il classificare. Almeno per come la società percepisce i colori. Dire che il contenitore verde è verde sarebbe pleonastico e non servirebbe a niente: lo possono vedere tutti. Dire invece che è giallo dà un’informazione molto più utile: ovvero che appartiene alla categoria dei recipienti municipali gialli, cioè quelli che possono contenere solo certi rifiuti (di solito rifiuti riciclabili) e non altri. Ora, ciò che gli conferisce quest’identità non è il colore del materiale, una plastica dura e spessa, ma quel che c’è scritto sopra: il contenitore è verde ma deve essere considerato come giallo. La parola vince sempre sul colore. Un esempio semplice ce lo dà il vino: noi tutti diciamo, quotidianamente e da tempi molto antichi, ‘vino bianco’ per indicare un liquido che non ha proprio nulla di bianco; è giallo, verdastro, paglierino, più o meno dorato o ambrato, ma di certo non bianco. E nonostante tutto non ci disturba per niente chiamarlo bianco. Dare un nome ai colori delle cose non è tanto descriverle, quanto classificarle, ordinarle, metterle in relazione con altre o contrapporle, talvolta tradurre le sensazioni che ci suscitano e i significati che le accompagnano. Le parole sono sempre più forti dei colori.
Potremmo moltiplicare gli esempi, anche in quei settori nei quali non ci aspetteremmo di trovarne, come nella realizzazione artistica. Posso citare qui la testimonianza esemplare di un responsabile del reparto pitture del più grande negozio parigino di prodotti per pittori, la Maison Sennelier, che ha sede da più di un secolo sulle rive della Senna, davanti al Louvre. Il commesso propone al cliente che desidera acquistare tubetti di tempera, pigmenti in polvere o pastelli, un campionario senza nome, codice o numero di riferimento, che dispone solo di placchette di colori diversi. Quando il cliente ha fatto la sua scelta e ha indicato sul campionario il colore che vuole comprare, il commesso gli dà un nome e, a titolo comparativo, dice anche come si chiamano i colori accanto, che nel campionario sono o più a sinistra o più a destra. Ora, quando il cliente – che è un pittore! – ha sentito il nome del colore che ha scelto e quello dei colori vicini, quasi sempre modifica la sua scelta e dice una frase come: «Allora piuttosto prenderei quel colore lì» mettendo il dito su un’altra placchetta. Il nome detto dal commesso ha un potere decisionale ben più forte del colore riprodotto. Anche per un pittore, i colori sono lessico, prima di essere tavolozza.
La prima qualità di un colore è quindi il suo nome. Più della sua sfumatura, più delle sue caratteristiche ottiche, fisiche o chimiche, è il nome che determina e crea i nostri gusti e le nostre scelte, i nostri usi e i nostri codici, i nostri simboli e i nostri sogni.