Questa settimana, su Frizzifrizzi abbiamo scoperto che:
«stampare riviste e giornali costa molto. Oggi si cerca in ogni modo di risparmiare, e infatti spesso si stampa male e con bassa qualità: ad esempio ora non si va più in stampa con il 100% di nero, viene ridotta la percentuale per fare economia sull’inchiostro, o si cercano carte che siano sempre più di bassa gamma» racconta Francesco Franchi;
senza la fatica non c’è fortuna, sosteneva l’artista bolognese del ‘600 Giuseppe Maria Mitelli;
in Mauritania, secondo la tradizione, una sposa grassa è anche ricca. Così, sempre per tradizione, le famiglie ingozzano le ragazze promesse in matrimonio, per renderle mogli appetibili;
«mio fratello minore un giorno ha chiesto “brodino digitale” al posto di “brodino vegetale” e così è nato il mio nome d’arte» dice l’illustratrice Emanuela Carnevale.
Un’idea di grafica
design • interviste
«Mi chiedo perché stampiamo ancora tutti questi giornali e riviste? Penso che dovremmo stampare meno e con una qualità migliore. Noi grafici per procedere in tipografia utilizziamo solitamente la formula “visto, si stampi”, oggi sarebbe necessario che quella frase diventasse “vale, si stampi”: dovremmo stampare solo quello che ha veramente valore».
☞ Il nostro Tommaso Bovo ha intervistato il designer e giornalista Francesco Franchi.
Un alfabeto sognato
tesori d’archivio • tipografia • incisione
«Fui da quel suo gentile ministro Morfeo circondato con Forme, e Visioni pertinenti alla nobilissima Arte del Disegno nostro unico diletto, e mio singolar esercitio: egli mi rappresentò le lettere dell’Alfabeto formate da incomposti Fantasmi, e da confuse Imagini, e mi comandò, che dovessi disegnare in proporzionate Figure quegli Embrioni, ch appena nati, svaniscono».
☞ Nel 1683 il pittore e incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli sognò un alfabeto fatto di corpi e lo incise in una serie di tavole pensate come modello per insegnare ai suoi allievi l’arte del disegno anatomico.
8 illustratrici per l’8 marzo
illustrazione • parole • logos • 8 marzo
Abbiamo chiesto a Sara Arosio, Irene Bidello, Susanna Gentili, Giulia Pintus, Silvia Reginato, Alessandra Santelli, Lorena Spurio e Giulia Tomai di realizzare una tavola su 8 parole o espressioni che parlano di donne e di condizione femminile.
☞ Da congedo mestruale a orologio biologico, dal baby blues al gavage.
Un diritto?
lazy news • illustrazione
Lazy News è la nostra rubrica dedicata a notizie di ieri che forse possono aiutarci a capire l’oggi.
Curata da Davide Calì, è illustrata da Emanuela Carnevale, in arte Brodino Digitale.
☞ La quinta puntata è dedicata al controverso tema del sesso in carcere.
Un’illustratrice
illustrazione • interviste
Conosciamo meglio Emanuela Carnevale, in arte Brodino Digitale, autrice delle illustrazioni della rubrica Lazy News.
☞ Davide Calì l’ha intervistata.
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E inoltre
🤼♀️ I Fechtbücher erano dei manuali di lotta del ‘400. Si trattava di manoscritti che illustravano il combattimento tra donne e uomini.
☞ Se ne parla su The Public Domain Review.
👩💻 «Name a woman!».
☞ L’account Instagram del Letterform Archive di San Francisco presenta il lavoro di tre designer.
📐 Sul suo profilo Instagram, il graphic designer Alberto Perera realizza delle ottime “pillole” dedicate alla storia del graphic design.
☞ @alberto.redko.
🍿 Quante volte il titolo di un film viene citato nel film stesso?
☞ Una interessante saggio visivo.
📷 Le campagne della Spagna centrale, viste dall’alto.
☞ Una serie fotografica di Tom Hegen.
🌸 Il picco di fioritura dei ciliegi di Kyoto si sta verificando sempre più presto.
☞ Uno dei tanti segni del cambiamento climatico, in un grafico che parte addirittura dall’anno 812 e arriva fino a oggi.
⏰ «Ma quando la mattina dopo, a Roma, telefonai a casa di Totò mi rispose una cameriera: il principe, molto stanco, si era recato per il week-end a Lugano».
☞ Su Lucy Goffredo Fofi racconta i suoi incontri mancati.
✏️ «Ogni mattina suo padre si sedeva alla scrivania davanti a due scatole. Dopo aver preso il suo blocco giallo, Steinbeck raccoglieva 24 matite e iniziava a temperarle, una alla volta, nel suo prodigioso temperamatite elettrico. “Pesava quanto una Chevrolet. E faceva altrettanto rumore”, ricorda Thom. Dopo che tutte le 24 matite erano state temperate, Steinbeck le disponeva, con la punta rivolta verso l'alto, in una delle due scatole. Poi le picchiettava delicatamente con le dita per assicurarsi che fossero tutte della stessa lunghezza. Quando era soddisfatto della loro uniformità, iniziava a scrivere. Ogni matita durava all'incirca quattro o cinque righe. A ogni parola, John ruotava leggermente la matita, assicurandosi di riuscire a estrarre ogni pensiero prima che si fosse appiattita fino a diventare insoddisfacente. Poi metteva la matita esaurita nella seconda scatola, con la punta rivolta verso il basso, e prendeva un'altra matita. Ripeteva questo processo fino a quando tutte e 24 le matite non si erano appiattite, a quel punto le affilava di nuovo e ricominciava la routine»
☞ Sul blog della celebre azienda di matite Blackwing, il figlio di John Steinbeck, Thomas, racconta la routine quotidiana del padre.
🕑 Il futuro non è ancora scritto, il passato svanisce.
☞ Vanishing Time, un orologio creato con “carta magica” cinese, pennello calligrafico e stampante 3D..
🥽 «Un capo indiano, decenni fa, rivolse al presidente Nixon una domanda che mi sembra valida oggi come nell’era della TV, specialmente ora che possiamo valutare l’eredità di un mondo in cui la maggior parte di noi non vorrebbe più vivere: “Quali visioni offrite ai bambini di oggi affinché possano desiderare l’arrivo del domani?”.
☞ Su Doppiozero Matteo Maculotti scrive di visori (tipo Apple Vision Pro) e futuro dell’educazione.
Bonus
I corpi del reato1
di Marta Stella
La notte non è mai iniziata. Esco dalla mia seconda veglia d’armi. Questo è il giorno delle due albe.
Ora, durante il viaggio di ritorno, ripenso alle ore appena trascorse.
Sono arrivata a piedi nel luogo segreto del ritrovo, ad aspettarci c’era questo stesso pulmino. Poche parole, sguardi tesi. Siamo salite una dopo l’altra, in fila composta. Fiere e colpevoli come prigioniere di guerra appena catturate. Dopo tre ore di viaggio il mezzo ha rallentato la corsa davanti a un’insegna stradale: BENVENUTI A JESOLO.
Ho varcato la soglia di un casermone senza nome, ho seguito le altre come un animale notturno. Solo lì ho realizzato ciò che mi stava accadendo: avevo abbandonato il mio letto disfatto, la cuccia dell’infanzia, per una branda fredda, nemica. Piedi in aria, gli occhi fissi sul soffitto, ho scrutato ogni singola traiettoria di quello stanzone anonimo immerso nella penombra. Da lì la gelida periferia veneta sembrava un luogo ai confini del mondo. Ho addomesticato il dolore sconosciuto seguendo le nervature dell’intonaco color panna, le fughe annerite delle crepe in procinto di frantumarsi. Ho cercato un dettaglio da fissare per non abbandonarmi. A me stessa, allo strazio. All’incognito.
Sono rimasta aggrappata al materassino sul quale mi hanno fatto sdraiare, leggermente inclinata dal bacino in giù. La carne non è stata docile: la pelle era reticente, il mio corpo non aderiva, non si adagiava. Le mani bagnate, i nervi tesi, il corpo rigido irrorato dal male. Ho guardato a lungo al di là dell’unica finestra, ho seguito la danza degli alberi muoversi nella notte, stringendo un fazzoletto sino a inzupparlo. Poi l’ho infilato in bocca per ingoiare il mio grido. Un pezzo di stoffa immacolato, bandiera bianca. La scelta era compiuta. Poi d’improvviso il mio cuore ha smesso di battere furiosamente. Era tutto finito. O era soltanto l’inizio?
L’uomo davanti a me si è sfilato lentamente i guanti in lattice, un dito dopo l’altro. Si è lavato le mani in una bacinella con la calma serafica di chi ha ripetuto quei gesti molte volte, di chi conosce la lotta. Non sapevo il suo nome, non sapevo chi fosse né da dove venisse. Aveva operato in silenzio. Una manciata di minuti, un dolore atroce.
La chioma di capelli color castagna, arruffata sulla fronte, nascondeva il ceruleo del suo sguardo già stanco di giovane vecchio. Il maglione di lana dall’aspetto pregiato emanava un odore aspro, tabacco misto ad agrumi. I pantaloni di una taglia più grande tradivano un guardaroba borghese, forse il lascito di un padre facoltoso.
Mentre mi rivestivo ho sentito per la prima volta la sua voce. Mi rassicurava, preparandomi alle ore successive. Allo stordimento, al dolore che poi però si dovrebbe dileguare nel vuoto. Nel silenzio complice, cameratesco: nessuno deve sapere di noi, di quello stanzone, di questa notte.
Estratto dall’omonimo capitolo di Clandestine, di Marta Stella, Bompiani, 2024.
Stella (1988) è giornalista professionista, consulente editoriale e curatrice. I suoi ultimi lavori sono comparsi sul New Yorker, con un documentario premiato ai New York International Film Awards.
Clandestine è un romanzo che ha come protagonista una studentessa milanese che decide di abortire nell’Italia di fine anni ‘60, dove l’aborto è ancora illegale.