Tipografia, storia della grafica, ritratti a metà e giovani designer svedesi
Dagli anziani in elmetto alle colline marchigiane
Questa settimana, su Frizzifrizzi abbiamo scoperto che:
a Cupramontana (An) c’è un museo — Museo MIG — che ha sede in un complesso di grotte e ospita una collezione di oltre 100 mila etichette vinicole d’artista da tutto il mondo;
l’era Taishō, che coincise con il fugace regno dell’omonimo imperatore, fu la più breve della storia giapponese. Salito al trono nel 1912, a causa del suo debole stato di salute fisica e mentale l’imperatore si ritirò dalla vita pubblica appena sette anni dopo, lasciando la reggenza al figlio Hirohito, che gli successe ufficialmente alla sua morte, nel 1926. L’era successiva fu invece la più lunga in assoluto;
una volta Eleanor Roosevelt, attivista per i diritti civili e moglie del presidente USA Franklin Delano Roosevelt, disse: «impara dagli errori degli altri. Non puoi vivere abbastanza a lungo per farli tutti da solo»;
in Italia il limite per essere richiamati in caso di conflitto è 45 anni;
tra amici che si frequentano in modo assiduo si può magicamente finire per assomigliarsi, condividendo espressioni, atteggiamenti e plasmandosi lentamente attraverso l’intimità condivisa.
Dei punti di partenza
tipografia
«Innanzitutto consiglio di guardarsi sempre intorno. Ispirazione e nuove idee possono venire da ovunque. Io evito di cercarla guardando altri caratteri digitali, ma preferisco lettere che hanno una loro dimensione fisica e materiale, meno perfetta e asettica: insegne, monumenti, edifici e soprattutto cimiteri».
☞ Un nostro lettore ci ha chiesto consigli su libri e link per chi volesse avvicinarsi al mondo della tipografia.
Abbiamo girato la domanda a tre persone esperte che lavorano nel campo e che ci hanno dato i loro consigli.
Una rivista seminale
tesori d’archivio • design • riviste • libri
Uscita tra il 1928 e il 1930, la rivista giapponese The Complete Commercial Artist contribuì alla nascita della grafica moderna in Giappone.
In ogni numero il magazine proponeva esempi di grafica, lettering, tipografia e allestimenti del periodo, organizzando ogni numero attorno a un’area specifica: insegne, manifesti, packaging, vetrine…
☞ Il Letterform Archive di San Francisco ha raccolto in un libro il materiale più interessante della rivista.
Un archivio online
tesori d’archivio • design
Il designer britannico Matt Lamont ha messo in piedi una grande collezione sulla storia della grafica. Sono materiali che vanno dai libri alle riviste d’epoca e comprendono anche brochure, cataloghi, specimen, poster, francobolli, sottobicchieri, etichette, spartiti musicali, scatole di fiammiferi e tanto altro.
☞ Parte del suo archivio è visibile online sul sito Design Reviewed.
Una dea
concorsi & opportunità • grafica • illustrazione
GRAFFI, rassegna d’arte contemporanea dedicata alla grafica d’artista, ha lanciato una call rivolta ad artiste e artisti under 30 che fanno grafica o illustrazione.
☞ In palio tre residenze artistiche a Cupramontana (An), per lavorare a un progetto sulla dea Cupra, che ha dato il nome alla cittadina marchigiana.
Dei progetti di giovani talenti
design • università
Ogni anno Ung Svensk Form premia i progetti di studentesse e studenti delle scuole di progettazione svedesi e quelli dei giovani svedesi che studiano all’estero.
☞ Presentiamo tutte le opere selezionate, tra ecosostenibilità, trasformazioni, recupero delle tradizioni, ispirazioni che arrivano dalla natura, uso di nuove tecnologie così come di materiali e tecniche “povere”.
Una vecchia notizia
lazy news • illustrazione
Lazy News è la nostra rubrica dedicata a notizie di ieri che forse possono aiutarci a capire l’oggi.
Curata da Davide Calì, è illustrata da Emanuela Carnevale, in arte Brodino Digitale.
☞ La seconda puntata è sull’innalzamento dell’età per i riservisti, in Francia.
Dei volti
interviste • fotografia
«È un progetto di relazioni, più che di immagini. Nei ritratti a metà è come se vedessi affiorare un’onda che passa da una metà all’altra della foto. Forse a volte anche i pensieri dei genitori e dei figli si assomigliano?».
☞ La nostra Giovanna Canzi ha intervistato Marcella Marraro, ideatrice del progetto Ritratti a metà.
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E inoltre
🍴 Un’analisi su grafica, stile e cibi dei menu di New York.
☞ Sul New York Times.
✍️ «L'idea di celebrare la scrittura a mano sul mio Instagram è nata perché [l'artista video] Ryan Trecartin aveva scaricato l'app quando è stata lanciata e ha detto a tutti che l'avevo scaricata, quindi dovevo trovare un'idea. Sapevo che in qualche modo volevo avere una missione, e poi [lo scrittore e filosofo] Umberto Eco mi ha parlato della necessità di salvare e celebrare la scrittura a mano. Così sono giunto alla conclusione che, poiché incontro gli artisti ogni giorno, avrei fotografato una loro frase scritta a mano, una citazione. Sarebbe diventato quasi un diario dei miei incontri.
☞ Un’intervista al celebre curatore Hans Ulrich Obrist sul suo progetto Instagram di far scrivere agli artisti che incontra qualcosa su un Post-It.
🗓️ Un timbro per creare calendari perpetui.
☞ Su Present & Correct.
🏢 Prima di pubblicare Peter Pan, J. M. Barrie scrisse un libro sullo smettere di fumare.
☞ Lo intitolò My Lady Nicotine.
🐭 Per festeggiare i suoi vent’anni di attività, la bella casa editrice Topipittori ha deciso di presentare con delle interviste le 40 librerie che fanno parte della rete delle Case dei Topi.
☞ La prima è Spazio Libri La Cornice, a Cantù.
🦊 Il doppiaggio di Fantastic Mr. Fox
☞ Altro che stare al chiuso in uno studio…
👹 «Da caso di cronaca, la vicenda del Mostro di Firenze si è trasformata negli anni in una saga multimediale, dove i confini tra verità processuale, finzione, dietrologia e teorie del complotto sono sottili e ingarbugliati. Tra libri, podcast, canali YouTube, c’è una comunità di fan molto attiva che non smette di interrogare il passato e riscrivere la storia».
☞ Un bell’articolo di Ivan Carozzi, su Lucy.
Bonus
Un viaggio verso Sud1
di Tommaso Giartosio
La pasta al forno con i peperoni era croccante quasi quanto la parola croccante, era untuosa come untuosa. Tu che leggi, pronuncia queste due parole a voce alta prima di proseguire, così sappiamo di cosa stiamo parlando. Fatto? Allora andiamo.
Era sera. Antonio serviva i maccheroni, noi altri tre sorseggiavamo del Rapitalà, gli ospiti stavano parcheggiando, e in tavola c'erano dei piatti di coccio grezzo dipinti a grandi fiori arancioni: perfettamente brutti in quanto immagini, ma in quanto realtà perfettamente belli.
Con Chiara e Antonio avevamo preso in affitto, io e Carlo, una casetta al mare in Sicilia. Chiara era l'amica che ci aveva fatti conoscere tre anni prima; ora, innamorati e fieri della nostra unione, eravamo una coppia consolidata (che espressione terribile, da lezione di chimica o fisica, qualcosa da desiderare e da temere e di cui soprattutto illudersi!). Proprio per confermarci tali, ma anche per smentirci tali, avevamo voglia di esplorare luoghi nuovi; però portandoci dietro Chiara come una prova d'acquisto, e scegliendo — tra tutte le parti d'Italia a noi ancora ignote — giusto la regione in cui lei era cresciuta. Non ci ero stato quasi mai, in Sicilia, ma soprattutto non l'avevo pensata.
Quando sentivo la parola Sicilia dovevo subito pronunciare sottovoce, o almeno pensare a alta voce, le parole: triquetra insula. Era la definizione offerta nel mio primo libro di esercizi latini, prima media, capitolo sulla prima declinazione. La Sicilia, l'isola triangolare. La pronunciavo con due accenti sdruccioli (tríquetra ínsula), sbagliando — si dice triquétra; ma lo sbaglio rendeva meglio quel nonsoché di arduo, inerpicato, distanziante, sdrucciolevole, che sentivo nell'idea di Sicilia.
I nostri amici ci avrebbero raggiunti dopo due settimane. Noi due eravamo arrivati da soli, appena scoccato luglio, quando il traghetto da Napoli ci aveva deposti su un molo di Palermo. Mi aspettavo il trattamento mediterraneo completo, vicoli e riflessi marini e carretti di pescato e balconi con donne che urlano nomi di ragazzini; invece avevamo attraversato una città di palazzine moderne scrostate e mercati semivuoti, ai piedi di una montagna bruna. Per il mio momento di colore locale avevo dovuto aspettare la sera, in un ristorante allestito nel cortile di un palazzo nobiliare. I camerieri volteggiavano tra i grandi tavoli affollati e le stelle filanti delle sigarette, portando mazzi di calici e plateau di frutti di mare; la notte brillava di un lucore dorato; sembrava un film in costume. Ero appagato ma non convinto. Di mattina eravamo ripartiti. Nella Punto azzurra comprata pochi mesi prima non avevo voluto l'aria condizionata, mi sembrava un lusso immeritato. Ora ne pagavamo lo scotto (è il caso di dirlo), tenevamo i finestrini aperti ma Carlo non poteva appoggiare il gomito fuori, sulla portiera rovente. Stringeva con due mani l'atlante stradale e non appena accendeva una sigaretta il vento se lo ripigliava, strappando via le pagine.
Del resto l'atlante non ci serviva. La strada era una sola, una statale larga e polverosa che sarebbe stata un'autostrada se solo si fosse applicata. Macchine poche. Dopo Alcamo c'era un deserto. La parola deserto mi affiorava di scatto alla mente, come un gendarme che ha lungamente atteso nella sua garitta la particolare combinazione di fattori — afa, luce abbacinante, ore bruciate, stoppie, estensione di spazio vuoto, pungente intensità di pregiudizio — che permette di puntare la baionetta e interpretare come deserto una ridente area agricola punteggiata di casolari, in una provincia che ha la stessa densità di popolazione di quelle di Mantova o Pisa. Poi c'era una cittadina di trentamila abitanti: attraversata in tre minuti. Poi un altro deserto (o era lo stesso?), poi un paese di diecimila, poi ancora deserto. Ogni volta sembrava di essere arrivati, ogni volta si incrociava strade comunali che ripetevano le stesse indicazioni in direzioni diverse; eravamo prigionieri inconsapevoli di quel medioevo tra la diffusione delle rotatorie e la comparsa del navigatore satellitare. Cercavamo indizi nel paesaggio, ma da ogni lato ondeggiavano le stesse colline appiattite dal calore, mai un passante, un uccello, nulla. Sognavo una sovrimpressione che mi indicasse pazientemente, lungo lo spartiacque ottuso tra i morbidi bacini di due fiumare, i sentieri di migrazione, i confini smussati delle controversie baronali, gli itinerari delle armate arabe o garibaldine che avevano passeggiato lì come pulci sulla dorsale scabra di una balena. Volevo un acetato da mettere e togliere, mettere e togliere... Invece mi si presentava solo uno spazio senza nomi.
Estratto dal primo capitolo di Autobiogrammatica, di Tommaso Giartosio, minimum fax, 2024.
Giartosio (1963) è uno scrittore, poeta e conduttore radiofonico (della trasmissione Fahrenheit).
Autobiogrammatica è un romanzo autobiografico che «esplora la vita come un percorso unico e condiviso, intrecciato con il linguaggio».